
Lucca - la rivolta degli straccioni - 1 maggio
Agli inizi del 1531 il senato di Lucca introdusse proibizioni e limitazioni volti a sanare gli abusi nell'arte di produzione della seta. Questo alterò le consuetudini ed inceppò la piccola "industria". In pratica non doveva più lavorare per proprio conto chi avesse un solo telaio e non poteva accettare lavoro se non da coloro che avevano la facoltà di ordinarlo. Si potrebbe anche sospettare che l'oggetto di quella legge non era tanto la pubblica utilità, ma forse l'interesse particolare di molti che facevano parte del governo. Infatti con queste disposizioni si abbatteva la concorrenza concentrando nelle loro mani il commercio e la produzione della seta.
I tessitori della seta, detti "testori", cominciarono a lamentarsi e alcuni tra i nobili, chi per paura e chi per essere stato contrario alla legge, li incoraggiavano a chiedere il cambiamento della stessa.
In quei tempi era in uso che la notte del 30 di aprile si festeggiasse l'entrata nel "bel mese". Quella notte del 1531 invece di vedere una gioviale compagnia, arrivarono giovani tessitori variamente armati che, sotto le insegne di un drappo nero stracciato, procedevano per le strade della città in atteggiamento militare.
A questa manifestazione di malumore non si prestò molta attenzione, anzi quasi per scherzo, per quella insegna lacera e forse anche per la qualità delle persone, venne chiamata la rivolta degli straccioni.
La mattina successiva, 1 maggio 1531, i tessitori si ritrovarono in molti nel chiostro del convento di S. Francesco.
Chi diceva un cosa, chi l'altra e non si veniva a capo di niente. Un certo Matteo Vannelli riuscì a metterli d'accordo per andare dai signori a chiedere di cambiare le parti più rovinose di quella legge. Furono incaricati diciotto maestri a rappresentare i tessitori. Il Gonfaloniere Martino Cenami li accolse benignamente, ma dopo il richiamo di quest'ultimo videro bene di mettersi al riparo della giustizia incrementando il numero dei malcontenti. Infatti il 2 di maggio nel chiosco di S. Francesco arrivò una motitudine di gente, non solo tessitori ma anche rappresentanti di altre arti. Il collegio mandò là quattro onorati cittadini, con l'intento di sciogliere il raduno e rassicurare quella gente.
Il Consiglio maggiore si riunì il giorno stesso, fu cassata la legge in questione e perdonati gli attori del fatto.
Ma tra alcuni si insinuò la incerta fede nel Senato e tra questi, molti chiedevano di allargare il governo, così che molti del popolo potranno fare parte del Consiglio. Di giorno in giorno la cosa prendeva sempre più piede e il 25 maggio, per effetto di un nuovo tumulto popolare, fu forzata la mano all'autorità, cosicchè veniva aumentato il numero dei senatori da 90 a 120 e questi trenta senatori in più furono presi tra il popolo. Un nuovo perdono fu bandito e si sperò in serenità.
Una speranza vana. Le impunità crescono le discordie non le frenano, a causa del disprezzo in cui cade la giustizia. I più audaci tra la plebaglia e i giovani cominciarono a fare ciò che volevano senza ritegno e presto si passò dalle bravate alle ferite alle uccisioni.
A nulla valsero le richieste del senato di non portare le armi nè di giorno nè di notte e la richiesta di 100 fanti alla guardia del palazzo. Dovettero ritrattare il tutto. La baldanza dei sediziosi aumentò, e il consiglio dei 36 fu esteso a 54. Questo accadde in Agosto. A Settembre vi furono altre concessioni che favorivano un governo largo. Le violenze intanto non diminuivano, anzi aumentavano. Nel Novembre la nobiltà sconfitta organizzava la controrivoluzione nel contado. Alla metà di marzo del 1532 i nuovi senatori si giurarono pace scambievole tanto che il martedì santo fu emanato un perdono generale fino a quel giorno e fu sciolta la guardia popolare. La Pasqua cominciò con buoni auspici. Fino alla festa della libertà . Quel giorno si registrarono tumulti. A questo punto il 9 aprile gli Anziani si trovarono in accordo di avvertire segretamente Martino Buonvisi, scappato nella villa a Monte S. Quirico, che accorresse con quanti più soldati potesse per porre fine a questo stato di cose.
Aperta alla chetichella nella notte la Porta San Donato, Martino entrò alla guida di 500 uomini armati, mosse subito verso il palazzo che dopo una breve resistenza fu suo.
Il 10 aprile 1532 l'aria era cambiata, molti dei capi ribellli fuggirono nottetempo scalando le mura altri si rifugiarono nelle proprie case imprudentemente confidando in un nuovo perdono, i buoni cittadini manifestavano la loro gratitudine al Buonvisi, salutato come restauratore della quiete e della sicurezza pubblica, padre e liberatore della patria.
Dissipato il tumulto fu ordinato al podestà di inquisire i rei dei reati commessi dopo il martedì santo e molti capi delle sommosse furono assicurati alla giustizia.
I tessitori della seta, detti "testori", cominciarono a lamentarsi e alcuni tra i nobili, chi per paura e chi per essere stato contrario alla legge, li incoraggiavano a chiedere il cambiamento della stessa.
In quei tempi era in uso che la notte del 30 di aprile si festeggiasse l'entrata nel "bel mese". Quella notte del 1531 invece di vedere una gioviale compagnia, arrivarono giovani tessitori variamente armati che, sotto le insegne di un drappo nero stracciato, procedevano per le strade della città in atteggiamento militare.
A questa manifestazione di malumore non si prestò molta attenzione, anzi quasi per scherzo, per quella insegna lacera e forse anche per la qualità delle persone, venne chiamata la rivolta degli straccioni.
La mattina successiva, 1 maggio 1531, i tessitori si ritrovarono in molti nel chiostro del convento di S. Francesco.
Chi diceva un cosa, chi l'altra e non si veniva a capo di niente. Un certo Matteo Vannelli riuscì a metterli d'accordo per andare dai signori a chiedere di cambiare le parti più rovinose di quella legge. Furono incaricati diciotto maestri a rappresentare i tessitori. Il Gonfaloniere Martino Cenami li accolse benignamente, ma dopo il richiamo di quest'ultimo videro bene di mettersi al riparo della giustizia incrementando il numero dei malcontenti. Infatti il 2 di maggio nel chiosco di S. Francesco arrivò una motitudine di gente, non solo tessitori ma anche rappresentanti di altre arti. Il collegio mandò là quattro onorati cittadini, con l'intento di sciogliere il raduno e rassicurare quella gente.
Il Consiglio maggiore si riunì il giorno stesso, fu cassata la legge in questione e perdonati gli attori del fatto.
Ma tra alcuni si insinuò la incerta fede nel Senato e tra questi, molti chiedevano di allargare il governo, così che molti del popolo potranno fare parte del Consiglio. Di giorno in giorno la cosa prendeva sempre più piede e il 25 maggio, per effetto di un nuovo tumulto popolare, fu forzata la mano all'autorità, cosicchè veniva aumentato il numero dei senatori da 90 a 120 e questi trenta senatori in più furono presi tra il popolo. Un nuovo perdono fu bandito e si sperò in serenità.
Una speranza vana. Le impunità crescono le discordie non le frenano, a causa del disprezzo in cui cade la giustizia. I più audaci tra la plebaglia e i giovani cominciarono a fare ciò che volevano senza ritegno e presto si passò dalle bravate alle ferite alle uccisioni.
A nulla valsero le richieste del senato di non portare le armi nè di giorno nè di notte e la richiesta di 100 fanti alla guardia del palazzo. Dovettero ritrattare il tutto. La baldanza dei sediziosi aumentò, e il consiglio dei 36 fu esteso a 54. Questo accadde in Agosto. A Settembre vi furono altre concessioni che favorivano un governo largo. Le violenze intanto non diminuivano, anzi aumentavano. Nel Novembre la nobiltà sconfitta organizzava la controrivoluzione nel contado. Alla metà di marzo del 1532 i nuovi senatori si giurarono pace scambievole tanto che il martedì santo fu emanato un perdono generale fino a quel giorno e fu sciolta la guardia popolare. La Pasqua cominciò con buoni auspici. Fino alla festa della libertà . Quel giorno si registrarono tumulti. A questo punto il 9 aprile gli Anziani si trovarono in accordo di avvertire segretamente Martino Buonvisi, scappato nella villa a Monte S. Quirico, che accorresse con quanti più soldati potesse per porre fine a questo stato di cose.
Aperta alla chetichella nella notte la Porta San Donato, Martino entrò alla guida di 500 uomini armati, mosse subito verso il palazzo che dopo una breve resistenza fu suo.
Il 10 aprile 1532 l'aria era cambiata, molti dei capi ribellli fuggirono nottetempo scalando le mura altri si rifugiarono nelle proprie case imprudentemente confidando in un nuovo perdono, i buoni cittadini manifestavano la loro gratitudine al Buonvisi, salutato come restauratore della quiete e della sicurezza pubblica, padre e liberatore della patria.
Dissipato il tumulto fu ordinato al podestà di inquisire i rei dei reati commessi dopo il martedì santo e molti capi delle sommosse furono assicurati alla giustizia.
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